AGILE & MINDFULNESS

Sin dall’inizio l’Agile Mindset ha evocato in me riflessioni e pensieri che a prima vista sembrerebbero appartenere a un contesto talmente diverso da non poter nemmeno essere messi in relazione tra loro. Ora ho capito il perché: tutto è relazione, si sa.

Quello che forse non tutti sanno è che sebbene il Manifesto Agile sia del 2001, già nel lontano 1986 – in un ormai famoso articolo pubblicato sull’HBR, “The new new product development game” – Hirotaka Takeuchi e Ikujiro Nonakaparlavano di team cross funzionali, di proposito trascendente, di iterazioni brevi e molto altro ancora. Fu poi nel 1995, alla conferenza OOPSLA, che Ken Schwaber e Jeff Sutherland presentarono ufficialmente per la prima volta Scrum evidenziando elementi che ritroveremo poi anche nel Manifesto di cui, non a caso, furono tra i firmatari.

Cosa c’entra tutto questo con la mindfulness?

Non ne abbiano a male i puristi della Pratica della Consapevolezza tantomeno, per favore, quelli dell’Agile. 

Come persona e professionista sono da sempre convinta che la consapevolezza sia alla base di tutto, di qualsiasi possibilità di cambiamento e crescita personale e professionale.

Praticare la consapevolezza non è un qualcosa che si apprende una volta per tutte. E’ fatta di allenamento, di passi, o meglio ancora di piccoli passi. Cadiamo e ci rialziamo. Non a caso si parla appunto di “pratica”

Al cuore di essa vi è, oltre alla consapevolezza ovviamente, l’accoglienza (non tolleranza) dell’incertezza, della mutevolezza, vi sono i piccoli errori, la capacità di apprendere dall’esperienza riuscendo a coglierne ogni volta, indipendentemente dalla natura piacevole o spiacevole dell’esperienza in sé, spunti e prospettive nuove.

E se provassimo a sostituire alcune di queste parole con accogliere l’incertezza, iterazioni brevi, feedback loop, adattamento e miglioramento continuo?  

Mindfulness e Agile se presi a livello di mindset dal mio punto di vista sembrano avere molto in comune. Sono nati e si riferiscono ad ambiti completamente diversi, guarda caso entrambi complessi perché la vita, anche quella organizzativa, non può essere prevista tantomeno pianificata nei minimi dettagli. E ciò non significa affatto abbandonare l’intenzione di darle una direzione, un senso, perché come a casa così in ufficio se perdiamo il “senso” di quello che facciamo, trasformandoci in meri esecutori, finiamo inevitabilmente nel tunnel della demotivazione.

Entrambi gli approcci partono dal riconoscimento della natura in continuo divenire del reale quindi dal presupposto che il primo passo da compiere risieda nell’accogliere l’incertezza piuttosto che nel disperato tentativo di “prevederla e controllarla”. Non abbiamo altra scelta che lasciar andare il nostro bisogno innato di “plan and control”.

Sia nella Mindfulness che nell’Agile il viaggio è fatto di “piccoli passi” e si impara molto dai propri errori che vanno quindi riconsiderati in termini di opportunità di miglioramento continuo. Perché nell’Agile come nella Pratica di Consapevolezza gli errori (non i fallimenti) riguardano ciò che facciamo, non ciò che siamo. E non esiste un solo modo per raggiungere il proprio obiettivo, quale che esso sia. Così come ogni agile team scopre da sé, in modo auto-organizzato, il modo migliore per rilasciare valore per il cliente, così ciascuno di noi ha un proprio cammino da seguire, e prima ancora da disegnare.

Mi vengono in mente molte altre analogie ma sarei più curiosa di scoprire le vostre. Voi quali ritrovate?

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