Pochi giorni fa, in televisione, ho ascoltato una donna mentre raccontava dei primi momenti in cui si è trovata ad affrontare una grave malattia. Raccontava di come all’inizio si trovasse spesso a ripetere, a se stessa come agli altri, “io non sono così forte”.
Ecco, non so a quanti di voi è capitato di dire la stessa cosa. A me si.
Proprio le parole di quella donna mi hanno fatto riflettere: quando resistiamo, quando lottiamo contro situazioni avverse, siamo davvero resilienti?
Credo non sia facile cogliere appieno questa differenza: resistenza o resilienza. Si può resistere a lungo ad un dolore fisico. Non c’è dubbio. Questo significa che siamo resilienti? Non credo. Nei miei momenti di resistenza non mi sento affatto resiliente. Come ho sempre pensato ed affermato, il resiliente non è solo colui che “affronta”il dolore, ma colui che riesce a dargli un senso.
Certo, tutti abbiamo una soglia del dolore diversa – non solo fisica. Ci sono persone che resistono a sofferenze atroci senza versare nemmeno una lacrima, manifestare un’espressione di dolore, lamentarsi. Altri invece a malapena riescono a sostenere la vista del sangue durante un prelievo. Ma riuscire a far fronte ad un dolore continuo non basta per dire che quella resistenza ha un senso, o meglio, è in grado di fornire un senso a quell’esperienza. A volte resistiamo. Punto e basta. Senza trovare un senso, senza sforzarci di trovarlo. Perché a volte è più facile resistere che resiliere.
Ho sempre affermato che la resilienza rappresenta una competenza assai complessa, una capacità in cui concorrono diverse altre abilità, non ultima la capacità di riconoscere e gestire le proprie emozioni, l’intelligenza emotiva. A mio parere, infatti, la resistenza è fatta soprattutto di rabbia. A volte si resiste anche piangendo. La resilienza, invece, è di tutt’altra pasta, è fatta di altro: di fiducia, di accettazione, di quell’ottimismo inteso come capacità di cambiare ogni volta punto di vista e non come mero pensiero positivo.
Quando siamo resilienti riusciamo a fermarci per un momento, a respirare nel profondo e a chiederci: cosa posso imparare da questa esperienza?
Questa, per me, è la domanda chiave, quello che dovremmo imparare a chiederci nei momenti più difficili. Solo così il nostro punto di vista rispetto alla difficoltà non sarà più di opposizione ma di accoglienza. E’ vero, a volte opporsi funziona…eccome! E ci dà un senso di “potenza” – il potere del sé, a mio parere, è fatto di ben altro. Io non so se nella mia vita i momenti in cui sono riuscita a fare appello alla mia resilienza più che alla resistenza, siano invariabilmente passati attraverso una fase di resistenza. Non so se esiste un percorso emotivo predefinito, come ad esempio nella gestione del cambiamento o nell’elaborazione del lutto quando si passa dalla rabbia all’accettazione. E chissà che ognuno di noi ne abbia uno “suo”, come tanti sono i percorsi di vita.
Il punto è che alla lunga resistere non ci lascia alcun insegnamento. Resiliere si. Nel primo caso abbiamo superato quel momento difficile ma, in fin dei conti, non ne abbiamo tratto alcun insegnamento. E se quindi dovesse verificarsi ancora una volta, in prima istanza reagiremmo nello stesso modo. E non è detto che funzionerebbe ancora. Nel secondo caso invece qualcosa di certo l’abbiamo imparata. Fosse anche solo ad essere più equanimi. Lo so, sto di nuovo affiancando prospettive diverse, una più occidentale ad una più orientale ma mi è impossibile a volte non farlo come anche in passato.
Per tornare, quindi, al rapporto tra resilienza ed equanimità, chiediamoci allora: se in questo momento sto vivendo un momento difficile in cui è impossibile avere certezze positive sul futuro, come posso nutrire un sentimento di fiducia?
Credo che a questa domanda dobbiamo, o meglio forse possiamo rispondere solo con la nostra capacità di essere equanimi, con l’accogliere le cose così come sono, oggi, come ieri, come domani. E’ di nuovo nell’accogliere il qui ed ora così come è – ivi inclusa quindi l’assenza di certezze rincuoranti – che possiamo trovare una strada.
E’ come se per sviluppare la nostra resilienza di fronte ad una difficoltà, il nostro dialogo interiore dovesse fare i seguenti passaggi: “Ok, queste sono le cose così come sono, indipendentemente da come sono state e da come saranno”. Secondo passaggio: “In quale altro modo posso guardare a questa situazione?”. Terzo: “Cosa posso imparare quindi da questa esperienza?”.
So bene che scrivere queste frasi è più facile che pronunciarle o ancora metterle in pratica. Ma come disse il re al Coniglio Bianco in ‘Alice nel Paese delle Meraviglie’: “Comincia dal principio e continua sino alla fine”.
Ecco, lo dico agli altri come lo ripeto a me stessa: quel principio è sempre lì, davanti a noi. Solo che spesso, sommersi dalle emozioni o peggio ancora incastrati in un unico punto di vista, non lo vediamo affatto. Mentre, a volte, è così “semplice” vederlo e partire proprio da lì.
Cosa IO sono disposto ad accogliere per passare da RESISTERE a RESILIERE ?
"Mi piace""Mi piace"
Ciao Luca, grazie del tuo commento. Ne cito un altra di qualcuno che forse conosci e che mi ha colpito molto: Non sempre la soluzione è la guarigione”
"Mi piace""Mi piace"