RESILIENZA, ANTIFRAGILITA’: L’IMPORTANTE E’ APPRENDERE DALL’ESPERIENZA

Raramente accade di tenere un corso sulla resilienza in cui le persone mostrino un forte desiderio o siano davvero disposte a scoprire e sperimentare qualcosa di “diverso” su un tema così personale anche in ambito professionale.

Partecipare come “tenere” corsi su questo argomento, affine a quello dell’antifragilità (N.Taleb) , ha infatti molto a che fare con la consapevolezza di sé, con il mettersi in discussione, con il non dare per scontato il proprio punto di vista aprendosi ad altri possibili modi di vedere, sentire, quindi agire.

Per certi versi anche quando siamo impegnati nel comunicare in modo efficace con l’altro siamo chiamati a fare altrettanto. Come alcuni di voi sanno tengo spesso corsi di “Public Speaking”. Una passione, quella per la comunicazione, nata ai tempi dell’Università che pian piano si è ampliata fino ad abbracciare quella per le tecniche di negoziazione, la comunicazione persuasiva, lo Storytelling. I corsi sulla comunicazione in generale sono a mio parere molto divertenti e stimolanti da tenere e da seguire (fortunatamente anche a detta dei partecipanti). Le persone arrivano in aula abbastanza motivate anche quando “costrette” a partecipare al corso e le tematiche sono relativamente “facili” da affrontare: non richiedono una eccessiva esplorazione di sé. Ma proprio perché i corsi sulla resilienza/antifragilità, come quelli sull’intelligenza emotiva, sono più complessi per entrambe le parti coinvolte, quando si crea lo spirito giusto per lavorare insieme sono quelli che arricchiscono di più sia da un punto di vista umano che professionale…sia me che gli altri.

Ecco quindi una breve riflessione su quanto vissuto pochi giorni fa in un corso di due giorni su questa tematica presso una multinazionale che, come immaginerete, non cito per ragioni di privacy. 

Premessa: dal mio punto di vista che si parli di antifragilità o resilienza, l’etichetta non cambia la sostanza.Anche la resilienza intesa in senso psicologico è l’opposto di fragile e non di robusto, come direbbe Taleb. In entrambi i casi al cuore della capacità di affrontare “efficacemente” cambiamenti, incertezze, difficoltà – il cosiddetto mondo V.U.C.A. –  vi è il saper guardare ad ogni singolo evento come ad un’opportunità di crescita, ad un’esperienza da cui trarre un qualche apprendimento. Da ciò deriva la principale differenza tra resistenza e resilienza. Nella prima, infatti, tendiamo a mettere in atto una o più strategie al fine di “resistere” al cambiamento. Non superiamo la difficoltà: cerchiamo di evitarla, di resisterle.Spesso quando resistiamo pensiamo di adottare ogni volta un modo di fare e/o di pensare diverso ma – come dico in aula e dico anche a me stessa – se il risultato non cambia significa che in qualche modo stiamo agendo a partire dalla stessa prospettiva quindi adottando la medesima strategia, sia pur con qualche piccola variante. 

Ma non ce ne rendiamo nemmeno conto.

Il resiliente, invece, sa bene che non vi è un’unica modalità per guardare, affrontare, una situazione. Ogni essere umano è diverso dall’altro pertanto anche di fronte allo stesso evento, ognuno dovrà trovare la sua strada. Un po’ come nel coaching…

Ma non solo.

Quando siamo resilienti – o antifragili, come preferite – nell’affrontare quella difficoltà abbiamo sviluppato una consapevolezza e/o una competenza nuove. Siamo “cresciuti”. Quando resistiamo, invece, non necessariamente impariamo qualcosa; lo stesso accade quando risolviamo un problema.A mio parare, infatti, un’altra distinzione importante è quella tra resilienza e problem solving inteso in senso stretto. Perché posso risolvere un problema, nella mia vita personale o professionale, senza per questo aver necessariamente “imparato nulla” da quella esperienza. 

E viceversa a volte siamo resilienti anche quando non siamo riusciti a risolvere il problema. 

Pensiamo, ad esempio ad un licenziamento subito o alla comparsa di una malattia con cui dovremmo imparare a convivere. Dirò di più. Sono convinta che proprio queste circostanze, quelle cioè che non possiamo cambiare, rappresentino per noi l’opportunità di esprimere e/o sviluppare l’essenza della resilienza. E’ proprio quando “fuori di noi” non c’è nulla di oggettivamente sotto il nostro controllo – come l’essere licenziati o il contrarre una certa malattia – che siamo chiamati a dare più ascolto e voce alla nostra antifragilità/resilienza impegnandoci a cambiare continuamente il nostro modo di interpretare quella situazione fino a viverla diversamente, fino ad “accoglierla” come tale e non a “tollerarla”. 

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