Ormai lo sappiamo, l’amigdala spesso ci mette sotto scacco. Come dicono in inglese, quando viviamo certe situazioni rischiamo un “emotional hijacking”, che letteralmente significa “sequestro emotivo”. E non è un caso che abbia messo in grassetto solo la parola “sequestro”, perché in fin dei conti credo renda perfettamente l’idea di come a volte ci sentiamo, di ciò che accade a livello neurologico – quindi chimico, quindi fisico ed emotivo – dentro di noi quando ci troviamo a dover affrontare alcune circostanze…più o meno immaginate.
Perché come diceva “qualcuno” secoli fa: “Quello che siamo – sentiamo, aggiungo io – è fondamentalmente il risultato di ciò che pensiamo”.
Perché parlare del “potere della paura” in un blog dal titolo “Choose to Grow”?
Perché nella vita personale come nella vita professionale, come ho sempre scritto, sono esattamente come voi. Con alti e bassi, punti di forza ed aree di miglioramento, capacità di resiliere tanto quanto capacità di “fallire” (che qui intendo nel senso volgare del termine, quindi, come direbbe un coach, non nel senso del fallimento dell’ “essere” ma come errore del “fare”).
Perché quando ho scelto il titolo del blog, intendevo proprio quello: ogni giorno abbiamo l’opportunità di scegliere se “crescere” o “regredire” di fronte alle difficoltà. Questione di scelte. Personali e professionali. Che non sempre, per voi, come per me, sono facili.
Eppure, come dicono in molti, la paura è una delle emozioni primarie…
E allora quale è il punto?
Il “punto” è che non avevo mai conosciuto la paura…almeno nella sua manifestazione più essenziale.
Ansia, gioia, tristezza, rabbia, frustrazione, orgoglio, demotivazione, entusiasmo, eccitazione..ma la paura allo stato puro, no. E non perché mi sia mai definita coraggiosa. Tutt’altro! Ma un conto è non essere coraggiosi, un altro è provare paura. Non trovate?
La cosa su cui rifletto ora, e chi mi ha spinto ha scrivere queste poche righe, è: “se non siamo responsabili delle nostre emozioni, ma di come rispondiamo ad esse” – e di questo continuo ad esserne fermamente convinta – cosa fare di ciò di cui non siamo responsabili?
Per vicende di salute personale mi trovo, infatti, a dover fronteggiare la paura…E allora penso: da dove mi viene questa emozione? Dove la colloco nel mio corpo? A quali pensieri la lego?
Come spesso accade in questo blog – anche quando parlo di tutt’altro come della mia grande passione, la comunicazione – non ho la pretesa di “offrire soluzione” bensì quella di “offrire dubbi”, in attesa che qualcuno si confronti con essi e che da questo confronto possa nascere qualcosa di “utile” per entrambi.
E così come scrivevo in “Perché non è così facile adottare nuovi modelli comportamentali nelle organizzazioni” , così mi e vi chiedo: come possiamo adottare nuovi comportamenti di fronte ad una risposta emotiva naturale, ed essenziale, come la paura?
La paura è un’emozione primaria e, per quanto possa sembrare strano, è utile. Se non ce ne siamo liberati – come di tutte le emozioni spiacevoli – è perché serve a qualcosa.
Lo so, lo sapete…
La paura, infatti, ci avvisa che c’è un pericolo. Ci serve per sopravvivere. E per questo continuo a dirmi: dubito e temo di chi non ha paura di niente…
Ma cosa succede effettivamente al nostro corpo quando proviamo paura?
Le pupille degli occhi si dilatano, i peli delle braccia si alzano, la pressione sanguigna aumenta così come il battito cardiaco e la concentrazione di adrenalina e di cortisolo nel sangue. E se ogni giorno temiamo qualcosa – prossimo o furo che sia – allora è facile immaginarne gli effetti a lunga durata…ci sentiamo spesso stanchi e dormiamo male.
E soprattutto la nostra neocorteccia non è più in grado di fare il suo lavoro.
Ma è così che il corpo si prepara alla difesa. E fa bene a farlo…almeno la maggior parte delle volte.
Il punto è, “la maggior parte delle volte”? Cioè, e se quell’”attacco” ancora non è presente ma solo prossimo?
E’ allora che mi torna in mente una delle più importanti distinzioni linguistiche apprese nel corso della mia certificazione ICF con la EEC: “Preoccuparsi significa occuparsi anticipatamente di qualcosa. Quando ci preoccupiamo ci troviamo di fronte a diverse alternative che non ci soddisfano. Ci sentiamo minacciati, anticipiamo le conseguenze più funeste. Entriamo così in un circolo vizioso che ci rende incapaci di prendere qualsiasi decisione. L’occuparsi di qualcosa determina un piano di azione. La sensazione che è possibile risolvere il problema. Siamo consapevoli che stiamo facendo tutto il possibile per risolvere una data situazione” (R. Echevarria).
E per quanto alcune cose non siano mai sotto il nostro controllo – relazioni, lavoro, salute – occuparsi di un problema significa sempre e comunque considerarlo una sfida ed una opportunità di azione. E questo possiamo sempre sceglierlo.
Vale sempre: per un problema di salute come per qualsiasi altro tipo di “ problema” .
Evitiamo allora di “preoccuparci” delle situazioni ed iniziamo solo ad “occuparcene”. Accogliamo l’emozione che ci genera, anche la paura…senza mai dimenticare di trasformarla in qualcosa che ci faccia “crescere”.
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