Penso che molti conoscano il termine neuroplasticità, vale a dire la capacità del nostro cervello di modificarsi, dal punto di vista strutturale e funzionale, in risposta all’esperienza. Pochi forse però conosceranno quello di competizione neuronale. In che modo può esserci utile rispondere a questa domanda?
Quando smettiamo di esercitare una certa abilità mentale o comportamentale quello che accade nel nostro cervello è che la mappa cerebrale, responsabile di quella funzione, non viene eliminata bensì “cannibalizzata” dalle altre. Ecco perché, ad esempio, imparare una seconda lingua in età adulta è molto più difficile che farlo da bambini. Questo non significa che durante lo sviluppo infantile non esista questo fenomeno, piuttosto che quando impariamo due lingue nella stessa fase dello sviluppo, entrambe le mappe tenderanno ad occupare il medesimo spazio.
Tenendo presente questo fenomeno forse capiremo meglio perché non sempre è facile favorire l’adozione di nuovi modelli comportamentali all’interno delle organizzazioni. Per il nostro cervello, infatti, disapprendere per riapprendere è assai più complicato che apprendere per la prima volta. In altre parole chiedere al cervello di “disapprendere” modelli precedenti scatena una competizione tra “vecchia e nuova abitudine” e se ciò risulta difficile per chiunque, anche laddove è personalmente motivato a cambiare (persino nella vita personale), figuriamoci cosa accade laddove questa motivazione interna non è nata spontaneamente.
Interessante, quindi, il fatto che anche un concetto apparentemente lontano dal contesto organizzativo come quello di competizione neuronale, rafforzi l’idea che per lavorare in modo efficace su qualsiasi forma di cambiamento all’interno di un’azienda, un lavoro precedente sulla motivazione a compiere questo cambiamento da parte delle risorse sia un elemento chiave ed imprescindibile.
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